I “FUOGLI” DI MARIANNA VALLONE
La Storia
Ogni giorno mi dico che avrei dovuto fare altro nella vita, ogni giorno mi dico che devo prendermi una settimana e staccare, il telefono è sempre bollente. Poi, come se fossi sotto ipnosi, torno ad ascoltare, a scrivere, a chiedere, a dire. Non conosco una ragione diversa da questa. Mi piace da impazzire.
MARIANNA VALLONE
La mia voglia di fare giornalismo nasce ufficialmente un giorno di settembre di 13 anni fa. Da mesi cercavo un posto dove scrivere cose, sentivo una forte necessità di scrivere, ma non volevo che fosse un mestiere, anche perché non sapevo da dove iniziare. Frequentavo l’Università di Lettere a Napoli, ma pubblicavo ogni tanto recensioni di libri sulla rivista della facoltà di Economia.
La svolta è arrivata quando ho scoperto un giornale online, il giornaledelcilento, che era nato da pochissimi mesi e cercava giovani collaboratori. Ho iniziato scrivendo un articolo di turismo e sono finita dopo tre giorni a parlare di cronaca. Credo che un buon giornalista debba avere il fiuto per la notizia, e di saperla trovare anche quando apparentemente non c’è. Tutto il resto lo fa l’esperienza, ma anche la capacità di saper lavorare in squadra. Credo anche che un buon giornalista debba saper scrivere su ogni ambito, come credo anche che ognuno debba seguire la propria strada, quando può. La mia è la cultura. Amo raccontare le cose belle. Che male c’è?
I giornalisti inseguono la verità, quella bella e quella brutta.
La svolta è arrivata quando ho scoperto un giornale online, il giornaledelcilento, che era nato da pochissimi mesi e cercava giovani collaboratori. Ho iniziato scrivendo un articolo di turismo e sono finita dopo tre giorni a parlare di cronaca. Credo che un buon giornalista debba avere il fiuto per la notizia, e di saperla trovare anche quando apparentemente non c’è. Tutto il resto lo fa l’esperienza, ma anche la capacità di saper lavorare in squadra. Credo anche che un buon giornalista debba saper scrivere su ogni ambito, come credo anche che ognuno debba seguire la propria strada, quando può. La mia è la cultura. Amo raccontare le cose belle. Che male c’è?
I giornalisti inseguono la verità, quella bella e quella brutta.
Se però devo ricordare il momento in cui il semino del giornalismo si è radicato in me, mi piace pensare a quando da bambina, pur di stare con papà, guardavo tutti i tg della sera. Mi sedevo a terra davanti alla tv e guardavo senza capire. Avevo forse 6/7 anni, non so di preciso. Mio padre ha sempre lavorato tanto, faceva tutto quello che poteva fare, tutti i mestieri, e poi amava chiudersi nel suo laboratorio sotto casa e lavorare il ferro, il legno, sistemare cose, fare lavori creativi. C’era poco tempo per i giochi con me. La sera però era il momento per stare tutti insieme. Lui sedeva a capotavola e seguiva tutti i tg, passava da un canale all’altro. Guardavo più tg con Carmen La Sorella che cartoni animati. E per me era normale. Era tutto così bello e normale. Forse qualcosa è accaduta in quegli anni lì, senza saperlo.
E’ forse una droga, anche se non voglio che sia così. Ancora non riesco a vivere senza. Ogni giorno mi dico che avrei dovuto fare altro nella vita, ogni giorno mi dico che devo prendermi una settimana e staccare, il telefono è sempre bollente. Poi, come se fossi sotto ipnosi, torno ad ascoltare, a scrivere, a chiedere, a dire. Non conosco una ragione diversa da questa. Mi piace da impazzire.
Ho lottato molto per fare questo mestiere, per diventare una giornalista sono andata contro la mia famiglia. Mio padre e mia madre non credevano che potessi riuscirci, e in fondo non ci credevo neanche io. Più che altro sembrava impossibile farlo a casa. Anche perché è una passione arrivata a 24 anni, al liceo mi immaginavo insegnante, ho studiato in quel senso, ma l’idea mi spegneva ogni giorno.
Mio fratello invece era mio complice, mi ha accompagnata per anni nei posti per fare foto e recuperare notizie. La “benedizione” di mio padre è arrivata quando lui era ricoverato in ospedale, forse un anno prima o due che si spegnesse: lasciò il mio numero ad uno in ospedale, per farmi inviare notizie. Ricordo ancora quella immagine e quel biglietto, aveva scritto il mio numero sul bordo della settimana enigmistica.
Potrei dirti che faccio questo mestiere per amore di verità ma è il ragionamento che fanno anche molti fra coloro che, pur facendo i giornalisti, la verità spesso la trascurano. Si dicono colossali bugie, tante parole gonfiate. Io metto l’onestà in cima ai miei pensieri. Lavoro con onestà e scrivo perché l’informazione sia di tutti, nessuno escluso. E non sono sempre obiettiva. Per me la scrittura vera è quando fissiamo emozioni che diventano o sciolgono nodi. L’emozione è la scrittura che resta, per chi scrive e per chi legge.
Potrei dirti che faccio questo mestiere per amore di verità ma è il ragionamento che fanno anche molti fra coloro che, pur facendo i giornalisti, la verità spesso la trascurano. Si dicono colossali bugie, tante parole gonfiate. Io metto l’onestà in cima ai miei pensieri. Lavoro con onestà e scrivo perché l’informazione sia di tutti, nessuno escluso. E non sono sempre obiettiva. Per me la scrittura vera è quando fissiamo emozioni che diventano o sciolgono nodi. L’emozione è la scrittura che resta, per chi scrive e per chi legge.
Citazione: “Finirai per trovarla la via… se prima hai il coraggio di perderti” (Tiziano Terzani)