PENSO, DUNQUE
SONO SICURO
La Storia
Il mio è il racconto di una scelta, di ciò che viene prima, la salute e la sicurezza delle persone. Una scelta che dà valore, senso e significato alla mia vita.
Alessandro Fiscina
Partiamo dal titolo. Penso, dunque sono sicuro vuol dire per me fotografare lo stato attuale dell’arte nel mondo della prevenzione e della protezione sul lavoro, anche considerando che l’attenzione su questi temi è abbastanza recente, direi 40 – 50 anni, non di più. E nonostante i passi avanti fatti, il lavoro che resta da fare è tantissimo.
La curva degli incidenti sul lavoro negli ultimi anni si è appiattita, c’è uno zoccolo duro che facciamo fatica a scardinare, i morti sul lavoro sono ancora 3 al giorno, dunque mille all’anno, un dato enorme, e sono convinto che senza un cambiamento culturale profondo questo zoccolo duro non riusciremo ad annullarlo.
È un cambiamento che riguarda l’intero Paese. Istituzioni, imprese, lavoratori, famiglie, tutti dobbiamo essere consapevoli che lavorare sicuri è importante, di più, decisivo.
Insieme alla formazione, alle procedure, ai dispositivi di sicurezza c’è bisogno che cresca questa attenzione, questa consapevolezza, questa capacità di pensare la sicurezza come componente strategica del lavoro.
La parte relativa al cambiamento culturale è quella più difficile da innescare, è su questa che bisogna agire e che stiamo agendo, anche in aziende come la mia – costruisce infrastrutture, è il più grosso gruppo italiano nell’edilizia, costruiamo strade, ferrovie, ponti, viadotti eccetera – che ha oltre 70 mila dipendenti nel mondo e portafoglio ordini superiore a 40 miliardi di euro.
La nostra ambizione deve essere quella di non accontentarci del fare, dell’azione quotidiana, ma di contribuire ad attivare questo processo di cambiamento a livello culturale.
È quando una cosa diventa consapevolezza condivisa, modo di sentire comune, quando ci abituiamo a farla senza pensarci che c’è la svolta, è successo così con le cinture di sicurezza nelle auto e con il divieto di fumare nei cinema e nei bar.
Bisogna che ci mettiamo bene in testa che lavorare sicuri conviene e che a lavorare sicuri ci si abitua, è così che possiamo cambiare, abituandoci alla sicurezza, perché una volta che ti sei abituato il casco lo indossi nella maniera giusta anche mentre fischi o canti.
Lavorare sicuri, protetti, vuol dire anche lavorare bene. Un lavoro non può essere ben fatto se non è sicuro e non può essere sicuro se non è ben fatto. Bisogna che lo gridiamo forte, bisogna promuovere l’approccio proattivo, le buone pratiche, gli esempi positivi.
Per la mia azienda gestisco un team come responsabile del servizio prevenzione e protezione. Non è facile gestire un gruppo, sto imparando, per rafforzare questo concetto del team ho pensato a un dono per i componenti del mio team, un dono a tema, diciamo così, e in questo contesto è arrivato l’incontro con Scritte, ho colto il senso e il significato di raccontare la propria storia e ho pensato di scrivere la mia.
Il mio non lo considero solo un lavoro, la passione della sicurezza la sento nello stomaco, è una passione scoperta e cresciuta nel tempo che oggi mi porta a discutere con gli amministratori delegati e con i direttori di cantiere, perché io e il mio lavoro, il più delle volte, siamo visti come un costo, mentre il costo reale è quello degli incidenti sul lavoro, non solo in termini di vite umane e di incidenti più e meno gravi, ma anche in termini sociali ed economici, di costi per le aziende che in seguito agli incidenti sul lavoro perdono valore in borsa e calano nei rating con le banche.
Chi fa il mio lavoro non deve aver paura di essere considerato una persona scomoda, un rompiscatole. La salute delle persone – prima ancora di essere lavoratori siamo persone – viene prima di tutto. Per me bisogna tutelare il fatto che quando uno va al lavoro al sera deve tornare a casa meglio di come c’è andato, meglio perché in quel giorno si è arricchito, in quel giorno ha guadagnato.
Un altro aspetto decisivo è il rispetto delle regole. Io penso che avremo vinto quando la regola non sarà più vista come qualcosa che ci viene imposto ma come qualcosa di intimo. Avremo vinto quando sul cantiere, se non mi metto l’elmetto, il casco come lo chiamiamo noi, mi sento nudo. Le regole non si possono rispettare solo quando c’è un lutto o un incidente grave, non basta tornare a casa abbracciarsi la figlia e pensare “mamma mia, poteva capitare a me, domani devo stare attento, stasera il mio amico non potrà abbracciare i suoi figli.” Tutto questo è molto comprensibile, molto umano, ma dura due giorni, forse tre, ma poi torniamo alla normalità, per meglio dire all’assuefazione, e torniamo a fare le cose che facevamo prima.
Il diritto alla salute e alla sicurezza ha un valore universale, non può essere messo in discussione, a nessun livello, dalle istituzioni, alle imprese, ai lavoratori. Bisogna che ci diamo regole e strumenti che tutelano sempre di più la salute e la sicurezza, bisogna rispettare le regole, bisogna che utilizziamo tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione e bisogna che lo facciamo ogni giorno.
Per certi versi posso dire che sono anni che non lavoro più, perché quando la mattina non senti il peso di doverti alzare, quando stai 15 giorni lontano dalla famiglia e non ti pesa, quando dormi 2 giorni a settimana in un pullman, 1 notte a casa e 4 notti in un posto che mia figlia chiama bungalow (in questo momento no, sono in una camera di albergo, ma poi quando saranno pronti passerò in un bungalow) e fare una vita così non ti pesa vuol dire che la passione che provi per quello che fai ti ripaga di tutto quello che ti manca, ti ripaga persino del fatto che non hai visto crescere tua figlia, che te la sei ritrovata a 18 anni, da quando ne aveva 6, e continui a chiederti quando è che è cresciuta.
Da qualche parte ho letto una frase tipo “ama il tuo lavoro e non lavorerai neanche un giorno della tua vita”, sono convinto che è così, me lo dice la mia vita di ogni giorno.
È questo il pezzettino di verità che vorrei regalare alle persone che leggeranno la mia storia, secondo me sta qui il senso più profondo di quello che faccio. Senza falsa modestia confesso che a volte mi piace pensare che i lavoratori mi vedano come una sorta di “angelo custode” che pensa a tutte le misure di prevenzione e protezione dai rischi da attuare durante le lavorazioni.
Lo ripeto, ho approcciato alle tematiche della sicurezza per caso, non ho un episodio particolare a cui riferirmi, a volte penso che tutto questo è talmente radicato dentro di me da essere diventata una parte di me che non posso più distinguere dalle altre. Oggi ho deciso di raccontare la passione che sento nello stomaco ogni volta che devo pensare a come impedire che i miei colleghi subiscano un incidente o, ancora peggio, un infortunio, la tristezza che mi pervade ogni volta che sento una notizia legata ad un incidente sul lavoro.
Sì, con la mia storia intendo parlare ai lavoratori, alle loro famiglie, ai dirigenti, ai datori di lavoro per dire loro che la tutela e la garanzia della salute e sicurezza è un valore non negoziabile. E voglio parlare anche alle persone a cui voglio bene, ai miei cari, per dire loro che solo la passione ci può permettere di fare un lavoro ben fatto.
La frase per la quale mi piacerebbe che io e il mio team fossimo ricordati è “la strada della sicurezza ti riporta sempre a casa”.